Scritto da

Davide Lorenzon

Finalmente il momento del parto è arrivato ed è stato superato!

Il rapporto tra osteopata e mamma non si limita solo al periodo della gravidanza: l’osteopatia post parto è importante sia per la neo-mamma che per il neonato.

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Primo trattamento del neonato – Anamnesi

Quando è utile vedere il bimbo per un primo trattamento? Quando è utile per i genitori far vedere il bimbo dall’osteopata?

La risposta a questa domanda è sicuramente “il prima possibile” nel rispetto di alcune esigenze di salute della mamma e del bimbo stesso.

Uscire per andare a vedere l’osteopata nei primi giorni non è esattamente semplice soprattutto quando il bimbo è di difficile gestione; ma sono proprio questi i casi in cui l’osteopata può fare la differenza per mettere il neonato nelle migliori condizioni per affrontare questo nuovo mondo.

Quando un bimbo di qualche giorno di vita entra in studio dobbiamo innanzitutto non avere fretta di trattarlo. L’olismo parte anche dalla considerazione di tutti i fattori che possono essere predittivi dello stato di salute o dei problemi che poi andremo a verificare manualmente durante la seduta.

Risulta quindi importante la fase di anamnesi: chiedere alla mamma com’è andata la gravidanza. Abbiamo visto negli articoli precedenti che ogni trimestre ha le sue caratteristiche peculiari, quindi dovremo capire se la gravidanza è andata in maniera fisiologica o se ci sono stati degli “intoppi” che possono aver creato una condizione di “distress” nella mamma e quindi anche nel bimbo già dentro in pancia.

Questa condizione di distress può essere alla base dei problemi di irritabilità o difficoltà nel sonno o ancora l’incapacità per il bimbo di passare in modo sereno dalla fase di veglia a quella del sonno.

Interroghiamo la mamma su ogni trimestre per ottenere informazioni utili:

  • Ha avuto nausee? Si sono fermate al primo trimestre o sono continuate anche oltre il 4 mese? 

Il passaggio verso uno stato parasimpatico tipico del primo trimestre si è svolto in maniera tranquilla o il corpo faceva resistenza? Se sono continuate oltre il 3 mese che cosa non permetteva questo adattamento? Il bimbo potrebbe aver risentito di una difficoltà nella fase di annidamento.

  • Ha preso farmaci? 

La gravidanza è stata spontanea o è stata una fecondazione assistita?

  • Ha avuto delle minacce d’aborto?

L’attecchimento della placenta è stato adeguato? La nutrizione del feto è stata adeguata?

  • L’aumento ponderale è stato adeguato e lineare o ha avuto dei picchi? 

Un aumento eccessivo può indicarci un problema ormonale o un diabete gestazionale. Questo può riflettersi sulle dimensioni del feto che se aumentano eccessivamente possono rendere difficile il passaggio nel canale del parto.

  • Ci sono state patologie associate che ci possono far pensare ad un problema di posizionamento del bimbo all’interno dell’utero materno?

Ha avuto sciatica in gravidanza? Dolori specifici in alcune zone come le sacroiliache? Il pube? Lungo la linea alba? sotto il costato? Tra le scapole? Se sono durate a lungo possiamo pensare ad un appoggio eccessivo del bimbo in una singola zona. Questo portava la mamma ad avere male ma ci dovrà rendere vigili a controllare nel bimbo zone di densità maggiore dei tessuti dove può aver appoggiato.

  • Il liquido amniotico era in quantità sufficiente?

Una buona quantità di liquido amniotico ci fa pensare che il bimbo sia stato “sospeso” e questo riduce il rischio di compressioni eccessive durate la fase di accrescimento intrauterino, al contrario potremo pensare a ricercare zone di maggior compressione (anche, bacino, testa…)

  • Quando si è posizionato per il parto? È rimasto podalico fino alla fine? Era cefalico già da molto? La testa era molto bassa?

Un bimbo che rimane podalico fino alla fine e che solo all’ultimo si gira (magari pure con un aiuto esterno) ci può far pensare che fosse costretto in un’utero che faceva fatica ad espandersi cefalicamente e quindi dovremo controllare il bacino e la compressione a livello della colonna. Se invece si era messo cefalico e la testa era discesa in basso senza più spostarsi dovremo valutare eventuali compressioni della sfeno-basilare e del cranio in generale anche se poi il parto è finito in cesareo o è stato molto veloce.

  • Ci sono stati eventi che la mamma ha vissuto come traumatici? sono stati eventi singoli o hanno generato uno stress che è perdurato nel tempo?

Picchi di adrenalina possono creare un ipereccitabilità del sistema nervoso del bambino che lo renderanno potenzialmente più suscettibile e quindi più bisognoso di contatto.

  • Quando ha smesso di lavorare? Che rapporto aveva con la pancia e con il nuovo nascituro? 

Una donna, man mano che la gravidanza procede, dovrebbe sentire l’esigenza di focalizzarsi sulla serie di eventi che la porteranno al parto e a diventare madre. Non sempre questo è possibile e non sempre questo è riconosciuto dalle madri. Rimanere con lo stesso stile di vita e lo stesso ritmo fino alla fine della gravidanza senza dedicarsi il tempo per iniziare un rapporto madre-figlio può rendere il primo periodo dopo la nascita molto difficile per l’incomunicabilità in cui verranno a trovarsi, la difficoltà a “sentire” il bambino e le sue esigenze. Il nostro approccio in questo caso può essere quello di lavorare marginalmente sul bimbo in modo che a livello fisico sia il più deteso e “disponibile” possibile e poi lavorare sui genitori rendendoli consapevoli degli aspetti relazionali che possono curare. Possiamo consigliare l’utilizzo di supporti come la fascia, la creazione di piccoli “riti” in cui poter curare la relazione.

Domande di questo genere ci possono aiutare a capire degli elementi che poi guideranno in parte la nostra valutazione sul bimbo.

Sarà poi importante andare a capire come si è svolto il parto. Quando chiediamo ad una donna di raccontare com’è andata in sala parto in genere rispondono: “tutto bene” sottintendendo… “sono viva io, è vivo lui e non è più dentro la mia pancia… quindi tutto bene!”

I momenti salienti del parto sono quattro: il periodo prodromico, che segna l’inizio del travaglio ed è caratterizzato da contrazioni ritmiche dolorose; il periodo dilatante, che conduce alla dilatazione completa della cervice; il periodo espulsivo (che si conclude con la nascita del bambino), ossia quando il feto viene spinto verso l’esterno attraverso il canale del parto; il secondamento, ossia il periodo immediatamente dopo la nascita in cui placenta e membrane si staccano dall’utero e vengono espulse.

Rispetto queste quattro fasi a noi serve qualche informazione più specifica e quindi faremo altre domande tipo:

  • Quanto è durato il travaglio? 

Da quando le contrazioni diventano regolari fino alla fase espulsiva. Nel caso di una prima gravidanza il travaglio dura generalmente di più (12-14 ore circa ma può variare da donna a donna) perché i tessuti sono più tonici e quindi occorre una forza e un tempo maggiori per dilatare il collo dell’utero e far passare il bambino attraverso il canale del parto. Nelle gravidanze successive in genere non supera le 7 ore. Travagli che durano troppo a lungo sottopongono il feto a compressioni lungo la colonna che possiamo percepire e trattare.

  • È stato necessario medicalizzare questo processo? Ha utilizzato la fettuccia? Il gel? O l’ossitocina sintetica per far procedere gli eventi?

Travagli che non procedono con la dilatazione del collo dell’utero o che si fermano ci indicano che la donna non si sentiva nelle condizioni di lasciarsi andare alla fase espulsiva. L’utilizzo di ossitocina sintetica costringe l’utero a contrarsi. Questo sicuramente riattiva e velocizza il processo dilatativo ed espulsivo ma sottopone il bimbo a delle forti compressioni soprattutto se la lentezza della fase espulsiva era dovuta ad una resistenza imposta dalle strutture del bacino. La testa si ritrova ad essere spinta contro una struttura che non riesce a dilatarsi e quindi la pressione sulle diverse zone del cranio sarà aumentata.

  • Le acque si sono rotte da sole o sono state rotte? 

la rottura delle acque rilascia prostaglandine che aumentano il processo dilatativo. Una rottura precoce delle acque può mettere la testa del bimbo in condizione di non essere più protetta dal liquido dalla pressione del canale del parto e quindi esporlo a lesioni di compressione della base cranica o di ossa della periferia come il parietale o il frontale.

  • Ha fatto uso dell’epidurale? 

L’utilizzo dell’epidurale è sicuramente un grande progresso per alleviare i dolori della fase di travaglio ma deve essere calibrata molto bene per evitare che l’anestesia e l’atonia dei muscoli del piccolo bacino e del pavimento pelvico possa non dare sostegno e guida alla testa del bimbo. Questo ridotto sostegno potrà più facilmente portare con sè problematiche come una inclinazione laterale (asinclitismo) del capo o una presentazione non di vertice ma di bregma o addirittura di faccia. Una posizione non ottimale della testa del bambino ne riduce la capacità “penetrativa” quindi la capacità di trasmettere, tramite la sua colonna, la spinta esercitata dal fondo dell’utero fino alla testa per poter appiattire e dilatare il collo dell’utero e poi far discendere la testa nel piccolo bacino fino all’uscita. Se il capo è inclinato o se manca il sostegno muscolare che mantiene la testa in posizione la forza compressiva dell’utero si disperde in movimenti di lateralità della testa che potranno portare ad un atteggiamento del capo in estensione e inclinazione laterale. Sarà molto importante valutarli bene per evitare che queste asimmetrie diventino, una volta nato, una posizione d’appoggio viziata e statica e una conseguente plagiocefalia.

Questo l’esame preliminare da cui poter ricavare i primi elementi. Il mese prossimo vedremo come approcciare il bimbo durante questa prima seduta!